UNA NUOVA STAGIONE

di Michela


Parte 1

Era una tiepida mattinata di sole, piacevole sulla pelle, e Françoise alzò la testa per guardare gli alberi in fiore… alcuni petali volteggiavano nell'aria, come sospesi in una danza, e sembravano un invito a vivere, ad essere felici.
Un petalo trasportato dal vento le si posò sul volto e la fece sorridere.
Era primavera… ancora una volta.
Lei aveva sempre amato questa stagione ed era sempre stato in primavera che aveva espresso nuovi propositi, che aveva pensato al futuro, a cosa desiderava.
Ma quello che desiderava non lo poteva avere quest'anno, non lo avrebbe potuto avere mai, lo sapeva, non valeva neppure la pena di pensarci.
Peccato stare al chiuso, si disse mentre rientrava a casa e appoggiava le poche cose che aveva acquistato sul tavolo… più tardi sarebbe uscita… nel frattempo aprì le finestre e fece circolare l'aria primaverile che profumava di fiori e restò un momento ad aspirarla, ad occhi chiusi.
Era passato già un anno…
Un anno da quella prima volta, da quando lui l'aveva invitata ad uscire e poi, tornando a casa, lui l’aveva accompagnata fino alla porta ed avevano finito per baciarsi con passione sulla soglia… per poi raggiungere a stento il letto e spogliarsi frenetici, così impazienti di toccarsi, di amarsi.
Era cominciato così, come un bisogno che lei aveva represso per troppo tempo, e poi avevano continuato ad incontrarsi di nascosto dagli altri – cosa resa più facile dal fatto che ormai non vivevano più tutti insieme - sempre di notte, in casa di lei… sempre lui arrivava… senza promesse... e sempre lei lo accoglieva tra le braccia, ed ogni volta, come la prima volta, qualcosa le si spezzava dentro quando lui si rivestiva e se ne andava… come questa notte...
Ormai neppure tentava più di dirsi che se lui tornava da lei, significava che gli importava... non aveva più illusioni, non gliene rimaneva neanche una.
Era stanca…
Era stanca, stanca, stanca...
Si riscosse e si mise a sistemare un po' in giro, non era una maniaca della pulizia ma non era neppure un'amante dello sporco e del disordine, ed era da un bel po' che non faceva niente…
Era stanca, pensò ancora, così stanca... ed era al limite, era quasi al limite... ancora un poco e finalmente avrebbe troncato, avrebbe smesso di accoglierlo, di cercarlo, di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
Doveva solo trovare la forza.
Ma oggi non voleva pensarci… oggi era primavera, stava bene… oggi era felice.
Oggi forse poteva trovare la forza di dirgli di no.
Mentre puliva la camera si impose a fatica di pensare ad altro, pensò alle cose belle, a tutte le cose belle che aveva e sorrise al pensiero dei suoi bambini.
Il dottor Gilmoure le aveva trovato un incarico esterno alle loro solite missioni, per far sì che si distraesse… che non pensasse… e lei aveva passato l'ultimo mese a fare da supplente a scuola, in una classe di bambini di sei anni.
Si divertiva tantissimo.
Dopo i primi giorni di panico aveva imparato a conoscerli, a distinguerli tra di loro, a capirli… ed erano tutti adorabili, a modo loro tutti… perfino le bambinette smorfiose con la lingua lunga ed i maschietti prepotenti e zucconi.
All'inizio non era stato così ovviamente, ed i primi giorni, esasperata, aveva finito con l'urlare come una pazza, una vera e propria pazza…una mossa che si era rivelata vincente, infatti da allora si era guadagnata il loro rispetto e finalmente un po' di agognato silenzio!
Ora le piccole pesti adorabili l'ascoltavano – sufficientemente - ed alzavano sempre la mano - a parte in rari casi di estrema eccitazione - prima di esporre le loro buffe opinioni. 
E davvero erano adorabili, e così pericolosamente manovrabili!
Perché una volta che si era riusciti a fare un po' di breccia nei loro cuori bastava un po' di entusiasmo unito alle parole giuste... e loro ci credevano.
Così aveva anche capito l'importanza del ruolo d'insegnante...
Pochi giorni prima, mentre spiegava, con le bambine affascinate dai suoi lunghi capelli dorati, ed i bambini che la guardavano o ridicolmente spavaldi, o teneramente imbarazzati, qualcuno aveva tirato fuori che lei era uno dei leggendari cyborgs e l'ammirazione era diventata incontenibile.
Più tardi, quando era riuscita a sedare l'entusiasmo, avevano iniziato a chiederle di Joe e di Jet… i due cyborgs più forti del mondo, li avevano definiti convinti.
Erano così eccitati che non aveva resistito e aveva promesso loro che alla fine della settimana li avrebbe portati lì per farglieli conoscere… c'era stato un boato e l'insegnante dell'altra classe era entrata a chiedere se aveva bisogno di qualcosa.
Convincere Jet non era stato un problema ovviamente, con Joe invece.. si era quasi rassegnata a dover rinunciare, ma poi Jet le aveva assicurato che Joe ci sarebbe stato  -  a costo di trascinarlo a forza supponeva - e… beh… quando Jet diceva una cosa era quella, lo sapevano ormai…
E così il giorno prima, nel pomeriggio, erano arrivati, tutti e due... prima o poi si sarebbe fatta raccontare da Jet come era riuscito a convincere Joe...
I bambini, intimiditi dalla fama di Joe, si erano subito buttati su Jet, circondandolo e sommergendolo di domande cui lui aveva risposto con una dose smodata di iperboli ed esagerazioni… dopo un poco, uno alla volta, i suoi scolari avevano circondato anche Joe ancora un po' timorosi, ed avevano chiesto dapprima intimoriti, poi sempre più spavaldi, di poter vedere l’accelerazione...
Era stata dura convincerlo ma avevano tanto insistito, implorato, protestato, che Joe - lei non lo avrebbe mai creduto possibile - aveva acconsentito.
Dopo erano rimasti a guardarlo in completa adorazione…
Intimiditi, ma in completa adorazione…
“Ok ragazzi… volete vedere cosa faccio io?” aveva richiamato subito dopo l'attenzione Jet… e tutti lo avevano circondato, vocianti.
Lei lo aveva guardato eloquente: niente scherzi idioti con i «suoi» bambini! E lui aveva recepito, perché aveva semplicemente mostrato un innocuo volo a bassa velocità per l’aula che comunque aveva lasciato entusiasti i piccoli astanti - il che purtroppo comportava una buona dose di urla e confusione -...
Mentre erano tutti intenti a guardare Jet, una bimba si era avvicinata a Joe e gli aveva domandato se poteva chiedergli una cosa.
Françoise se ne era stupita, conosceva quella bambina e non era certo una delle più spavalde, anzi, se ne stava sempre in disparte, isolata, silenziosa ed attenta.
Forse era per questo che lei l'amava particolarmente, o forse era per i capelli biondi dalle sfumature castane che le ricordavano quelli di Joe, o per i due occhi nocciola colmi di curiosità, o magari perché sapeva che era rimasta orfana da piccolina ed il suo cuore tenero si era subito sciolto.
Joe si era abbassato fino ad essere all'altezza della bimba e lei, con una vocina sottile e gli occhioni imploranti, aveva chiesto, sue parole testuali: “Mi lasci toccare i tuoi capelli?”
Lui non era riuscito a dirle di no e Françoise aveva dovuto trattenere le risate, mentre Jet aveva riso sguaiatamente quando tutte le altre bambine avevano cominciato ad urlare “Anch'io! Anch'io!” per puro spirito di imitazione supponeva, e Joe era stato costretto ad obbedire…
“Mai una macchina fotografica quando serve…” aveva borbottato Jet ridacchiando.
La sera, come promesso, lei aveva offerto a loro due la cena, annaffiata da un po' troppo vino per i suoi gusti, e Jet aveva rotto le scatole per tutto il tempo con quella storia, il rompiballe.
Più tardi, mentre camminavano verso casa, ancora non aveva smesso…
“Mi lasci toccare i tuoi capelli?...” aveva ripetuto in falsetto, e non contento lo aveva tormentato in tutti i modi il poveretto, mentre Françoise rideva fino alle lacrime, incapace di trattenersi…
“Dai Joe… dai!”
L'interessato non si divertiva per niente…
“Pensa se esistesse un qualcosa… che so… una specie di legge che permette a tutti i bambini di toccarti i capelli! Che figata! Eh, Françoise?”
Lei non riusciva a smettere di ridere, ci provava, sapeva che era stupido, ma non riusciva a smettere.
Avevano mollato Jet a casa e Joe aveva un broncio tale che lei aveva smesso di ridere di colpo e gli aveva chiesto seria se l'accompagnava fino a casa.
Quando lui aveva acconsentito lei sapeva perfettamente come sarebbe andata a  finire, come sapeva che il giorno dopo sarebbe stata male, ma non le importava… lui era così bello alla luce della sera e lei lo voleva ancora vicino quella notte, voleva amarlo, sentirlo ancora una volta suo…
“Perchè ti sei offeso tanto?...” aveva cercato di farlo ragionare mentre camminavano “…sì, è uno scherzo stupido ed è durato troppo… ma…”
Nel frattempo erano arrivati davanti a casa e si erano fermati vicino alla porta.
Lui l'aveva guardata senza rispondere e lei non aveva più parlato, intrappolata nel suo sguardo… era come un incantesimo, una maledizione… lei che si perdeva nei suoi occhi e bramava ancora una volta il contatto dei loro corpi, almeno quello, perché il pensiero di perdere anche quello, di non avere neppure quello, era intollerabile…
“Mi lasci toccare i tuoi capelli?...” gli aveva mormorato, senza l'ombra di ironia… e prima che lui potesse dire qualcosa lei aveva passato la mano sui capelli di lui…
“Mi lasci baciare le tue labbra?...” aveva mormorato ancora e aveva sfiorato le labbra di lui con le sue.
Si erano baciati contro la porta di casa, come quella prima volta, con furia, con rabbia... con amore… perlomeno da parte sua…
“Mi lasci… amarti?...” aveva sussurrato ansimante mentre apriva la porta e lo faceva entrare.
Avevano continuato a baciarsi contro il muro e lei aveva fatto scivolare le mani sotto la maglietta di lui, e come sempre in quel momento il domani non importava più…
“Françoise…”
“Françoise…” le aveva sussurrato lui all'orecchio quella prima volta, un anno prima, la voce roca che le dava i brividi e la riempiva di desiderio “…lo sai che non.. non possiamo avere legami…”
Lei aveva avvertito come un dolore al cuore a quelle parole dal significato così chiaro…
“Ora non mi importa…” aveva risposto poi.
Ed era vero, non importava in quel momento, ma dopo... dopo...

Parte 2

Era notte e Joe era appena uscito dalla casa di Françoise, di soppiatto, come un ladro, come ogni volta.
Era stanco e addosso aveva ancora l'odore del sesso… e di lei, di Françoise, e non era che gli dispiacesse, perché era un profumo che amava ed in qualche modo lo confortava…
Era quasi arrivato a casa quando aveva visto la bambina…
“Cosa fai qui?” le chiese sorpreso, cosa ci faceva una bambina da sola di notte?
“Torna subito a casa…”
Lei non aveva risposto e lui aveva ripreso a camminare.
Solo che la bambina invece di andarsene aveva continuato a seguirlo, per niente intimorita, poteva sentire i suoi passi leggeri, affrettati, dietro di lui.
Davanti casa si voltò ad aspettarla e la piccola sgambettò in fretta davanti a lui… lui si chinò a guardarla…
Ora la riconosceva, era la piccola peste che gli aveva chiesto per prima di potergli toccare i capelli, se la ricordava… una bimba seria, che non rideva mai…
“La tua mamma ti starà aspettando…” le disse...
“Non ho la mamma…”
“Il papà ti starà aspettando…”
“Non ho il papà…”
“Ci sarà qualcuno a casa che ti aspetta!...”
“Nessuno…”
Come diavolo si faceva a lasciare i bambini crescere da soli, che razza di mondo era quello in cui i bambini venivano lasciati soli, abbandonati a se stessi, come avevano lasciato solo lui… e Jet...
Restò a fissarla per un momento pensoso, che cosa doveva fare ora?...
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Si svegliò con una strana sensazione, forse un sogno che non ricordava, ed era una sensazione che gli era estranea da tanto tempo, che risaliva alla sua infanzia... un'impalpabile sensazione, come un odore, un sapore.
Subito dopo si irrigidì, perfettamente cosciente di cos'era quella sensazione: la bimba era lì, sdraiata accanto a lui, addormentata, e con la mano tra i suoi capelli.
Come diavolo aveva fatto? O meglio, com'era possibile che lui non se ne fosse accorto, che non si fosse svegliato? Probabilmente il suo inconscio non l'aveva registrata come una minaccia, non c'era altra spiegazione…
Nel frattempo aveva cercato di allontanare la bambina per ritrovare un po' di spazio personale, ma lei gli si appiccicava sempre addosso, e a volte gli dava anche una tirata ai capelli, quasi a rimproverarlo, e alla fine si era rassegnato a restare sveglio per il resto della notte.
Ormai era quasi l'alba quando si era definitivamente stancato di stare sdraiato e si era alzato…
Subito dopo uscì, amava fare un po' d'esercizio fisico la mattina quando iniziava ad albeggiare e non c'era ancora nessuno in giro, e al ritorno controllò il letto… la bambina era ancora lì che dormiva.
Per sicurezza chiuse a chiave la porta del bagno quando andò a fare la doccia, gli ci mancava che spuntasse anche lì.
Una volta finito si mise a preparare la colazione per due.
Stava iniziando a mangiare quando la vide entrare in cucina con l'aria assonnata.
Gli sbadigliò davanti senza neppure tentare di nascondersi con una mano la bocca…
Mise due piatti in tavola e la piccola si sedette in qualche modo - lo sgabello era alto - di fronte a lui senza aspettare di essere invitata, come se fosse la cosa più naturale del mondo… come se quella fosse anche casa sua.
Restarono a mangiare in silenzio per qualche minuto poi lei si mise a fissarlo con il visetto tra le mani… le gambette sotto il tavolo si muovevano ritmicamente avanti e indietro sbatacchiando sul legno della sedia…
“Tu sei forte, vero?...” gli chiese con quella sua vocetta sottile…
“Parecchio…” le sorrise suo malgrado compiaciuto…
“Più forte di tutti?”
La cosa ovviamente era relativa, ma come faceva a spiegarlo?...
“Molto forte…” cercò di restare sul vago…
“Nessuno ti può sconfiggere?”
La guardò perplesso, cosa doveva risponderle?
Aprì la bocca con l'intenzione di spiegarle che nessuno era invincibile, nemmeno lui, tanto meno lui, e che Jet, ad esempio, in alcuni casi era persino più forte di lui… ma qualcosa nello sguardo della bambina lo trattenne.
Lo guardava così speranzosa, così piena di fiducia, come se questo fosse fondamentale per lei… come se ne avesse bisogno…
E forse era  proprio così, forse aveva bisogno di credere che ci fosse un modo per sconfiggere la morte… che ci fosse qualcuno abbastanza forte da non morire… da non venirle meno… da non sparire…
“Nessuno…” confermò.
Il sorriso bellissimo di lei, il suo primo, con i due denti mancanti che le davano un'aria buffa e surreale, lo forzò in qualche modo a sorridere a sua volta…
“Vuoi sposarmi?”
Per un soffio non cadeva dalla sedia dallo shock…
“Ne riparleremo quando sarai cresciuta…” le fece apparentemente impassibile…
“Ma tu sarai vecchio!”
“Suppongo che sia un problema irrisolvibile…” le rispose, felice del fatto che non potesse ancora comprendere che l’avanzare dell’età di un cyborg non procedeva come quella di un normale essere umano…
La bambina continuava a muovere le gambe avanti e indietro…
“Allora puoi sposare la maestra Françoise!”
Joe aveva esitato un attimo… l'assoluta carenza di filo logico e di un minimo di prevedibilità di questa conversazione lo disorientava un po’…
“Non voglio sposarmi al momento…” concluse, non sapeva neppure perché rispondeva a queste domande ridicole…
“Io sto bene da sola…”
“Bene…” sarebbe mai terminata quella conversazione surreale?
Lui si mise a sparecchiare mentre la bambina continuava a fissarlo e a muovere le gambe… almeno stava zitta…
“Sai un segreto?”
Come non detto… si voltò a guardarla senza smettere quello che stava facendo, ovvero lavare le poche stoviglie sporche, odiava il disordine...
“Devi avvicinarti però…”
Lui sospirò, si asciugò le mani, si avvicinò e si chinò porgendo l'orecchio…
“Era una bugia…” gli sussurrò lei con un tono di cospirazione, come se davvero si trattasse di un segreto di stato, solo che lui non aveva la più pallida idea di cosa intendesse…
“Ah…” le fece rialzandosi… non era nemmeno sicuro di volerlo sapere.
Si mise di nuovo a lavare i piatti e a rassettare la cucina…
“Ora puoi andare a casa…” le disse infine, dopo avere sistemato tutto.
La bambina stranamente aveva obbedito, era scesa dallo sgabello e si era avviata alla porta, ma giunta lì si era fermata e si era voltata verso di lui…
“Mi porti dalla maestra Françoise?”
Lui restò a guardarla per qualche secondo incerto, ma poi annuì, l'idea non era per niente male...
Così la raggiunse sulla soglia e chiuse la porta dietro di sé…
Mentre camminavano appaiati, in silenzio, lei gli prese la mano e la strinse.
Automaticamente lui chiuse la sua su quella minuscola di lei…
“Sai un altro segreto?” gli disse dopo un po'.
Lui non rispose, non che potesse servire a zittirla, e infatti la piccola si era fermata e si era messa a guardarlo piena di aspettativa, la mano che stringeva ancora le sue dita con tutta la forza che aveva, che non era poca per una bimba di quell'età…
“Sentiamo…” si arrese lui, perché per qualche misterioso motivo non riusciva a dirle di no…
“Cosa fai la sera prima di dormire?...” cominciò a blaterare lei “…io sogno con gli occhi aperti, anche se non sono aperti, sono chiusi, però non dormo e mi immagino cose belle... come di trovare un gattino e tenerlo con me, o di diventare grande ed essere la più bella del mondo, e tutti mi ammirano…”
Lui aveva sorriso un poco, erano sogni da bambino, irreali e fantastici, li riconosceva…
“O che la mamma e il papà non sono morti in realtà, hanno fatto finta, e tornano a prendermi...”
Lui aveva istintivamente stretto un poco le dita sulla mano di lei perché una parte di lui riconosceva anche questi sogni… ma non disse niente, non c'era niente che potesse dire in fondo e la bambina riprese a parlare…
“Tu oggi potresti fare finta di essere il mio papà e la maestra Françoise la mamma e io farei la figlia, vedi i capelli?”
Si toccò i capelli che le sfioravano appena le spalle e che effettivamente avevano una tonalità di biondo simile alla sua… era per quello che aveva scelto lui? Per quello e perché era forte?
“Sarebbe solo per finta… va bene?”
E lui… il grande guerriero cyborg… non era riuscito a dirgli di no…
Arrivarono a casa di Françoise che la piccola ancora gli teneva la mano e poi, sempre senza mollargli la mano, lei aveva continuato a saltellare sul posto, tutta eccitata, mentre aspettavano dopo che avevano suonato.
Quando la porta si era finalmente aperta Françoise lo aveva guardato sorpresa e poi, ancora più sorpresa, aveva guardato la bimba e le loro mani intrecciate…
“Emma!”
Ecco come si chiamava, non ricordava più il suo nome, forse non lo aveva mai saputo… non glielo aveva mai chiesto…
“Bisogna accompagnarla a casa… tu sai dove abita?” le chiese a bruciapelo lui.
Françoise non gli aveva risposto, non gli aveva badato affatto, tutta intenta a chiedere alla bambina come stava, ma poco dopo era uscita con loro ed aveva chiuso a chiave la porta dietro di lei… avevano camminato insieme, la bambina in mezzo che teneva per mano ambedue e a volte faceva dei salti e loro dovevano sollevarla e farla «volare» come diceva lei…
“Vuoi un gelato?” chiese Françoise alla bimba indicando un gelataio.
La bambina ovviamente aveva annuito entusiasta e così si erano fermati a comprare un gelato per lei ed uno per Françoise che sembrava divertirsi un mondo.
La bimba ora aveva una mano occupata dal gelato e con l'altra teneva quella di Françoise… aveva scelto lei, non lui… così lui si era scostato un po' e aveva lasciato che loro due camminassero davanti seguendole…
Ridevano e parlavano tra loro e sembravano felici.
La bambina sorrideva e mostrava sempre più spesso lo spazio vuoto dei due incisivi superiori, ed era davvero carina così, mentre Françoise sembrava aver perso quella tensione che le irrigidiva appena le spalle quando era con lui, quella tensione che la lasciava soltanto quando facevano l’amore, per pochi preziosi momenti, e ora sembrava splendente come il suo sorriso… era bella così… era incredibilmente bella…
“Ti sposerai?...” sentì la bambina chiedere.
Era proprio fissata…
“Penso di sì, voglio una famiglia mia un giorno…” aveva risposto Françoise.
Non sapeva cosa si fosse aspettato… lo sapeva che era così, era naturale, ma immaginarla con qualcuno, con qualcun altro - perché lui ovviamente non era in grado di formare una vera famiglia - pareva così... sbagliato, che aveva corrugato la fronte senza neppure accorgersene… in qualche modo aveva sempre pensato che lei ci sarebbe stata, che fosse sua, ma non era così stronzo da non riconoscere l'egoismo di quel pensiero…
“Sposerai il signor Joe Shimamura?”
“No…”
“Perché? Non ti piace?”
“Non è questo...”
“Allora?”
Françoise aveva sospirato e Joe aveva ascoltato il battito accelerato del suo cuore…
“E' difficile da spiegare…” diceva Françoise “...vediamo... è come... non lo so, c'è questo vaso bellissimo, di vetro, che ti piace tantissimo…” che cosa tirava fuori? Si rendeva conto che lui era dietro di lei e stava ascoltando?
“...ma non serve a niente…” continuava lei “…e ad un certo punto ti accorgi che è meglio avere un vaso più semplice, magari in terracotta, che puoi usare anche per cucinare, che è sempre lì quando ti serve, che ti dà qualcosa... mentre il bellissimo vaso di vetro è inutile e finisci per dimenticarlo in un angolo…”
Lui sarebbe stato un vaso di vetro? Di che razza di paragone demenziale si trattava? E dov'era la morale? Meglio una pentola che un vaso? Che cazzata! E adesso non riusciva neanche a capire perché era così tanto irritato…
“Ma... povero vaso, si sentirà solo!” lo riscosse la vocina concitata della bambina.
Françoise aveva riso… di quella risata cristallina che aveva e che gli piaceva tantissimo…
“Lui non ha cuore…” aveva spiegato poi…
“Ma... lui ha il cuore, tutti ce l'hanno, è solo che è tanto fragile, se cade si rompe e allora sta attento!”
Joe si era fermato, incapace di proseguire, perché improvvisamente aveva riconosciuto l'emozione che stava provando, un'emozione che era sempre lì, dentro di lui, anche quand'era sopita, anche quando era appena percettibile: era quel maldestro e distruttivo tentativo di nascondere il dolore... e non c'era motivo ora, non aveva senso, non aveva alcun senso.
Le aveva lasciate camminare avanti, neppure se ne erano accorte da quanto erano prese dal discorso.
Seguì le loro schiene con lo sguardo fino a quando non sparirono nascoste dalla gente. 
Non avevano bisogno di lui.
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La sera stessa Joe si ritrovò a casa di Françoise con un bisogno nuovo, dirompente, che non voleva ancora riconoscere.
Lei aprì la porta e lo guardò sorpresa come quella mattina, più di quella mattina, perché era la prima volta che lui tornava da lei dopo un intervallo di tempo così breve…
“Posso entrare?” le chiese…
“No…” 
No? Joe l'aveva studiata perplesso alla ricerca di un segno di cedimento, si trattava di uno stupido scherzo?...
“No Joe…” ribadì lei con fermezza “…mi dispiace...” proseguì con la voce che tremava appena e subito dopo aveva abbassato lo sguardo “…ci ho messo tanto, troppo, ma ora ho deciso... voglio qualcosa di più... mi merito qualcosa di più…”
Lui l'aveva guardata incredulo, non era lei quella che gridava il suo amore? Non lo aveva accarezzato e baciato fremente non più tardi della sera prima? Non lo aveva stretto a sé piena d'amore poche ore prima?
E poi lei gli aveva chiuso semplicemente la porta in faccia.
E che cazzo!...
Aveva aspettato per qualche minuto pensando che fosse uno scherzo... ma i minuti erano diventati mezz'ora e finalmente si era arreso e se n’era tornato a casa.
Sapeva che Françoise aveva ragione, lo sapeva, e sapeva benissimo che lei si meritava di più, e per questo non aveva alcun senso che lui si sentisse così... disperato.
Continuò a camminare deciso a non pensare più a lei.
Fece un giro piuttosto largo, tanto non avrebbe dormito quella notte, ed arrivò davanti alla porta di casa un'ora dopo… seduta sulla soglia c'era la bambina, la sua bambina, e lui si era sentito quasi sollevato…
“Cosa fai qui?” le chiese dopo essersi chinato per trovarsi alla sua altezza...
“Posso dormire qui? Solo per questa notte…”
“Non hai già dormito ieri qui?...”
“Solo questa notte…”
“Entra…” le fece mentre si sollevava e lasciava la porta aperta dietro di sé.
Questa volta l'aveva sentita avvicinarsi furtiva al letto, sdraiarsi accanto a lui e infilare la mano tra i suoi capelli.
Aveva dormito male, a tratti, e quasi era riuscito a non pensare a Françoise... quasi.
Il giorno dopo le preparò la colazione ascoltando distratto il suo chiacchiericcio e dopo l'accompagnò a scuola… aveva aspettato che lei si avviasse verso l'entrata assieme agli altri bimbi e poi si era voltato per andarsene, solo che lei era corsa di nuovo verso di lui, tutta trafelata…
“Possodirecheseiilmiopapà?...” gli chiese tutto d'un fiato…
“Non ho capito una parola…”
“Posso dire che sei il mio papà?” ripeté lei diligentemente…
“Sanno che non sei mia figlia…” cercò di farla ragionare…
“Sì ma gli dico che mi hai adottata!”
Si trattava di un'idea assurda, ma lei aveva gridato «Grazie! Grazie!» ed era corsa via prima che lui potesse risponderle.
Era rimasto a guardarla svanire al di là del cancello e poi aveva scorto Françoise che stava arrivando di corsa, evidentemente in ritardo… lei lo aveva visto a sua volta ma aveva distolto lo sguardo ed aveva proseguito dritta ignorandolo ostentatamente.
Poteva capirla, cercava di evitarlo per non pensare a lui, per dimenticarlo, era logico... e faceva male…
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La sera dopo non si era sorpreso di trovare la bambina seduta sul gradino davanti casa.
Non le aveva neppure parlato questa volta, era entrato in casa ed aveva lasciato la porta aperta e lei era sgattaiolata dietro di lui come se niente fosse…
“Hai fame?” le chiese… era ora di cena e lui aveva fame…
“Sì…”
Si era portata una sedia davanti al bancone della cucina, ci era salita sopra ed era rimasta per un poco a guardare mentre lui sceglieva cosa prendere dal frigorifero e tirava fuori le pentole…
“Posso aiutarti anch'io?” gli domandò eccitata.
Dopo aver valutato e scartato varie ipotesi l'aveva messa a sbucciare patate.
Lei si era seduta, soddisfatta del compito assegnatole, e si era messa a lavorare d'impegno, tanto presa che per una volta stava anche zitta…
“Domani parto per una missione…” le fece lui “…torno tra tre giorni…”
La piccola aveva smesso di lavorare per un momento ed aveva continuato a guardare la patata con un'aria offesa… Joe si accorse che la manina le tremava un poco…
“Sei molto forte?” gli chiese dopo un po'…
“Molto…” quella conversazione l'avevano già fatta…
“Più di tutti?”
“Sì…”
“Nessuno può sconfiggerti?”
“Nessuno…”
“Neanche il più forte del mondo?”
“Sono io quello…” le rispose sorridendo.
Lei lo aveva guardato con la bocca aperta…
“Davvero?”
“Davvero…”
Per un poco erano rimasti in silenzio, lui a controllare la pentola sul fuoco, lei ancora a sbucciare la solita patata…
“Sai… certe volte sono arrabbiata…” gli aveva mormorato poi “…sono arrabbiata con la mamma e il papà perché sono morti... non è colpa mia, vero?” aveva aggiunto inaspettatamente.
Lui aveva notato i due grossi lacrimoni che le riempivano gli occhi…
“Certe volte mi arrabbiavo con la mamma e…”
Si chinò davanti alla piccola e la guardò seriamente…
“Non è di sicuro colpa tua…” le disse “…e lo sai che non racconto bugie...” alzò la mano e le accarezzò i capelli “…e un po' arrabbiata lo puoi essere, perché non è giusto quello che è successo... solo un poco però, perché la rabbia fa male, va bene?”
Lei aveva annuito, le lacrime che ora scendevano sulle guance, e poi si era rimessa a sbucciare la sua patata…
Continuarono a lavorare senza più parlare, ma la bambina non piangeva più ora, notò lui sollevato…
“Ecco!” aveva esclamato lei dopo un poco, di nuovo di buon umore, porgendogli la patata malamente sbucciata…
“Grazie, bel lavoro per essere la tua prima volta…” le fece prendendola “…la prossima sarà perfetta…”
“Non va bene questa?” gli aveva domandato con una faccetta avvilita.
Lui non le rispose ma lavò la patata sotto l'acqua del rubinetto e si mise a pelarla fino a quando non c'era neppure una traccia di buccia, con la bambina che lo guardava attenta…
“Adesso prova ancora...”
Le aveva dato un'altra patata e lei non aveva più parlato, tutta tesa nello sforzo di fare un lavoro perfetto… lui restò a guardarla con la coda dell'occhio notando che ripassava lentamente sugli stessi punti fino a fare sparire ogni residuo di buccia…
“Ecco!”
Lui prese la patata notevolmente rimpicciolita e la rigirò un poco tra le dita…
“Perfetta…” approvò, e sorrise nel notare l’espressione orgogliosa di lei “…ora siediti, è pronto…”
“Non mangiamo la mia patata?” aveva chiesto guardandolo delusa…
“No, ma la puoi portare a casa, la mangerai domani…” anche se non sapeva dove mangiasse lei, o chi le preparasse il cibo.
Lei lo aveva guardato titubante e Joe si chiese se non sarebbe stato costretto a mangiarsi una patata cruda per farla contenta… in fondo aveva mangiato di peggio nella vita…
“Allora la porto via…” aveva sorriso di nuovo lei “…la porto a scuola e la faccio vedere alla maestra Françoise… eh?”
Non aveva la più pallida idea di cosa rispondere e si limitò ad annuire mentre si sedevano in tavola: sicuramente la maestra Françoise ne sarebbe rimasta impressionata. 
Mangiarono in silenzio per qualche minuto, le gambette di lei che sbatacchiavano sulle gambe dello sgabello…
“Tu e la maestra Françoise vi siete mai baciati?”
Joe ormai avrebbe dovuto essere abituato a quel genere di quesiti, ma gli ci volle una frazione di secondo per riprendersi e riuscire a mandare giù il boccone… gli ci volle qualcosa di più per riuscire a trovare una risposta decente che non fosse una bugia…
“Un gentiluomo non racconta mai se ha baciato una ragazza…” sperava che lei fosse troppo piccola per notare l’ammissione indiretta “…ricordati di stare sempre lontana dai ragazzi che si vantano di queste cose…”
La piccola sembrava essersi bevuta la cazzata ed era rimasta a mangiare in silenzio per un poco…
“Devi invitarla a pranzo…” riprese poi lei “…così capisce che bravo che sei e ti vuole sposare…”
“Già…” un sorriso che gli si allargava nonostante non ci fosse poi molto da ridere…
“Così avrai me e la maestra Françoise e non sarai mai più solo!”
Lui si chiese se non era lei quella che non voleva essere sola, ma la poteva capire, anche troppo… anche più di quello che era disposto ad ammettere.
Più tardi le aveva lavato i denti - quelli che c'erano - con uno spazzolino nuovo che lei dopo aveva voluto mettere accanto al suo, nel bicchiere sulla mensola sopra il lavandino…
“Non toglierlo mai mai!” lo aveva ammonito, ed alla fine lui aveva promesso, come se quel piccolo particolare fosse di importanza fondamentale.
Infine lui aveva rassettato in cucina mentre lei guardava la televisione e quando aveva finito si era dovuto sorbire cartoni animati da bambini fino a quando la piccola non si era addormentata sul divano.
Aveva considerato l'idea di lasciarla lì, con una coperta  - svegliarsi di notte perché qualcuno ti tira i capelli non è il massimo, soprattutto per uno che già dorme male di suo -, ma sapeva che lei sarebbe stata delusa se la mattina dopo si fosse ritrovata sul divano, così l'aveva portata in camera adagiandola sulla sponda opposta del letto rispetto alla sua.
Invano… presto si era svegliato con lei appiccicata che gli tormentava i capelli ed aveva cercato di spostarla, rassegnato.
Il giorno dopo accompagnò la bambina a scuola con la patata in un sacchettino, e poco dopo partì per una breve missione di tre giorni, da solo stavolta…
Amava partire per un incarico nuovo, amava l'azione che comportava, e prediligeva le missioni aggressive, quelle in cui poteva sentire l'adrenalina che la lotta gli trasmetteva…
Ma questa missione era stata diversa dal solito, non per quello che era successo, ma per come l'aveva vissuta lui, perché si era ritrovato desideroso di tornare a casa per tutto il tempo e durante l'ultima notte all'addiaccio, stanco e soddisfatto di essere quasi a casa, per una frazione di secondo si era concesso il lusso di un sogno ad occhi aperti che comprendeva lui, Françoise e la bambina.
Quando era tornato, stanco, sporco e insanguinato, aveva fissato quasi deluso il gradino vuoto davanti alla porta di casa… la piccola non c'era e lui era entrato solo, neanche un cane che lo aspettava.
A letto quella sera, per la prima volta dopo molto tempo, avvertì con allarmante lucidità che era solo, completamente solo, disperatamente solo…
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Era passato più di un mese e la piccola non si era più fatta vedere… probabilmente si era stancata, o aveva trovato qualcun altro da tormentare, qualcuno di più adatto di lui.
Non aveva più rivisto neppure Françoise se non di sfuggita… lei lo evitava a volte platealmente, come quando cambiava strada o si inventava scuse ridicole per non uscire con lui e gli altri, e non poteva biasimarla, sapeva che era la cosa migliore per tutti, o almeno per lei… si rendeva anche conto che non aveva veramente creduto che lei resistesse tanto, aveva creduto che fosse solo un momento, una crisi momentanea, perché Françoise lo amava, glielo aveva detto tante volte, e lui in qualche maniera ci aveva sempre fatto conto, in qualche modo aveva creduto che lei ci sarebbe stata sempre.
E ancora una volta era cosciente dell'egoismo dei suoi pensieri.
Lui aveva continuato con la sua vita di sempre e si era sforzato di fare come se niente fosse, come se non gli importasse, solo che non aveva tolto lo spazzolino della bambina dal bicchiere e a volte, quando tornava a casa, faceva un giro più lungo per passare vicino a casa di Françoise, e non sapeva bene perché, ma quel rituale lo faceva stare meglio.
Fino a quando un giorno non si ritrovò davanti all'uscita della scuola ad aspettare e neppure sapeva chi stava aspettando, se Françoise, o la bambina, o forse tutt’e due.
Non c'erano molti adulti lì fuori e lui ignorò ostentatamente i pochi che c'erano fino a quando le porte della scuola non si aprirono.
Era rimasto a guardare i bambini che si riversavano fuori di corsa urlando, alla ricerca di una testolina familiare, ma nel giro di dieci minuti erano usciti tutti e la «sua» bambina non c'era… forse si era attardata in classe per qualche motivo, forse era malata, o forse le era accaduto qualcosa ed era per quello che non era più tornata da lui.
Alla fine erano rimasti solo lui ed un altro tizio dall'aria anonima e lui aveva deciso di aspettare Françoise per chiederle della bambina, solo per quello… non voleva disturbarla.
Finalmente l'aveva vista uscire, chiacchierava distrattamente con un collega e sorrideva di quel sorriso che era solo suo… quel sorriso che gli piaceva così tanto.
Lei ancora non l'aveva visto e lui restò a studiarla un momento… era tanto che non la vedeva, che non poteva più guardarla a piacimento.
Era bella, era... Françoise, la sua Françoise, e mentre la guardava non riusciva più a mentire a se stesso, perché lei gli mancava in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile e la voleva, la voleva così disperatamente che non poteva più raccontarsi bugie, non poteva più... la voleva vicino e voleva disperatamente una vita diversa, una vita in cui non era più solo... una vita con lei.
E nel frattempo, mentre lui la guardava, l'altro tizio, chi diavolo era? le era andato incontro… Françoise si era voltata verso questo cretino e Joe l'aveva vista arrossire felice, davvero felice, come non era mai stata con lui.
In quel momento i loro sguardi si erano incrociati… solo per una frazione di secondo.
Subito dopo lui si era voltato e se n’era andato… si era allontanato da lì quasi di corsa e non sapeva neppure cosa diavolo gli fosse successo, come avesse potuto pensare anche per un solo istante che la sua vita potesse essere diversa da quella che era…
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Tornando a casa non aveva pensato a niente, aveva solo cercato in tutti i modi di reprimere quella girandola di emozioni che rischiavano di esplodere, deciso a riprendere al più presto il controllo.
Vide la bambina da lontano, seduta sulla soglia, e almeno nel frattempo era riuscito a calmarsi un poco…
“Sono tornata!”
“Lo vedo…”
Aprì la porta di casa e la piccola sgattaiolò dietro di lui e si precipitò in bagno…
“Lo hai tenuto!” gli urlò dal bagno… evidentemente si riferiva allo spazzolino.
Lui si sedette sulla sedia della cucina ed appoggiò il viso sulla mano, un gomito sul tavolo… la guardò mentre correva fuori dal bagno e gli si piazzava di fronte, tutta eccitata, e aspettò mentre lei tirava fuori qualcosa dallo zainetto che aveva sulle spalle… era un mazzetto di fiori di campo, piuttosto mal ridotto…
“Ecco!...” glielo porse “…questo è per te! Lo dai alla maestra Françoise così vuole sposarti, va bene?”
Di scatto lo gettò a terra con la mano libera, irritato anche con lei…
“Smettila con questa storia!” l'ammonì…
“Sei cattivo!” gli aveva urlato lei di rimando con due occhi spalancati, feriti e pieni di lacrime.
Poi si era voltata per raccogliere i fiori, la testa bassa, le spalle tese.
Si era sentito un verme… cosa faceva adesso, se la prendeva con i bambini?
“Scusa... vieni qui…” le disse facendole segno di sedersi sulla sua gamba.
Lei, ancora un po' offesa, si era arrampicata sulla sua gamba e una volta sistemata gli aveva preso i capelli…
“Non devi arrabbiarti…” gli disse accoccolandosi su di lui, la mano sempre tra i suoi capelli “…ci sono io qui con te…”
D'istinto la circondò con le braccia e la strinse a sé: sapeva d'infanzia, di buone intenzioni e d'amore…

 

Parte 3

Françoise ascoltò distrattamente quello che le diceva l'uomo che le camminava a fianco.
Lo aveva conosciuto pochi giorni dopo che aveva detto no a Joe, o meglio, si erano visti un paio di volte per caso e poi lui le aveva chiesto se potevano conoscersi meglio.
Aveva risposto di sì.
Lui le piaceva, sembrava una brava persona… era una brava persona, ben intenzionata, buona ed educata… anche fisicamente non le dispiaceva, non era assurdamente bello come Joe ovviamente, nessuno lo era ai suoi occhi, ma non era male, e comunque non era per l'aspetto fisico che gli aveva detto di sì, era stato il modo in cui le aveva parlato che l'aveva colpita, come se per lui fosse importante, come se lei fosse importante.
Ed era proprio questo che l'attirava in lui, il modo in cui la trattava, sempre attento, pieno di premure, di piccoli gesti gentili - era la prima volta che riceveva dei fiori, patetico vero? -, il modo in cui le faceva complimenti sinceri che la facevano arrossire, imbarazzata e lusingata.
Una boccata d'aria fresca per lei che era abituata a non sentirsi abbastanza.
E non importava se i baci che si erano scambiati finora non le avevano fatto battere il cuore, non importava veramente, perché il sesso non era tutto alla fine, come non era tutto la passione, o quel tipo di amore che toglieva il fiato, lo sapeva perché li aveva provati e le avevano portato solo sofferenza.
Ora voleva qualcosa di diverso.
Era sbagliato? Era sbagliato volere qualcuno di affidabile che fosse disposto a costruire qualcosa con lei, era sbagliato desiderare di ricevere per una volta, invece di dare? Era così sbagliato?
Le sembrava di no, le pareva di meritarselo, e ad un certo punto aveva davvero pensato di poter finalmente ricominciare.
Com’era stata ingenua!
Le era bastato incrociare gli occhi di Joe lì fuori per una frazione di secondo e tutto il castello di carta era crollato.
Aveva cercato di non pensarci, di ripetersi tutto quello che si era detta da quando lo aveva rifiutato, poi aveva guardato colui che le camminava al fianco, quell'estraneo che non era niente per lei, e le era parso un bravo ragazzo, un noioso bravo ragazzo cui lei non aveva niente da dire.
Ed ora non riusciva a non pensare a Joe, allo sguardo che aveva… solo, smarrito.
E non riusciva a non pensare a lui…
“Mi stai ascoltando?” interruppe i suoi pensieri il suo accompagnatore.
“Scusa, mi è venuto in mente che ho dimenticato di fare una cosa importante, mi dispiace, ci sentiamo dopo, ti chiamo io…”
Non sapeva se quella patetica scusa era bastata, non le interessava neppure mentre si allontanava, perché aveva bisogno di pensare, di restare da sola, di allontanarsi da lui... perché aveva paura che se fosse rimasta ancora un po’ non avrebbe più potuto resistere e gli avrebbe confessato che lui era solo un rimpiazzo, un tentativo di dimenticare, e che non lo avrebbe amato mai.
Era andata a fare un po’ di kickboxing in palestra per sfogarsi, ed aveva finito con il perdere il controllo e colpire, colpire, con la stessa violenza con cui avrebbe voluto colpire Joe… quel bastardo, perché in quel momento lo odiava con tutte le sue forze, perché per colpa sua lei non poteva avere una vita decente, perché per colpa sua lei non poteva essere felice, né con lui, né senza di lui.
Stupido Joe, bastardo, l'avrebbe tormentata per sempre? E perché poi, perché dovevano soffrire tutti e due quando erano liberi di fare quello che volevano?
Possibile che lui non capisse che aveva bisogno di lei? Possibile che lei non capisse che lui non aveva bisogno di lei?
Possibile che non ci fosse soluzione quando poteva essere tutto così semplice?
E tutto per colpa sua!
Si era fermata ore dopo ansimante, spossata, ed era rimasta seduta sul pavimento a recuperare un po' di energia. 
Quando si era ripresa era tardi e l'ora di cena era passata da un pezzo… si sentiva meglio, si sentiva come svuotata, liberata da un peso.
E sia, pensò mentre ritornava a casa… e sia, va bene, qualcosa farò, troverò una soluzione, un equilibrio...
Camminando, stanchissima, finalmente senza più la forza nemmeno di pensare, era finita davanti a casa di lui… era tanto che non ci passava davanti, la evitava di proposito, come evitava lui... ma ora basta, si disse, ora basta scappare, ora voleva che almeno da parte sua le cose fossero chiare.
Non vedeva altro modo.
Entrò senza bussare e lui alzò la testa a guardarla dal divano in cui era seduto.
“Françoise…” le sussurrò con una dolcezza che le fece correre un brivido di piacere lungo il corpo…
Lui sembrava... contento… e lei aveva sbagliato a venire qui, se ne rese conto mentre si avvicinava al divano… aveva sbagliato perché era ancora troppo debole e gli voleva ancora troppo bene.
E poi notò la bimba che dormiva accanto a lui sul divano.
Lo fronteggiò costernata…
“È scappata di nuovo per venire da te? So che era in punizione, può uscire solo per andare a scuola…” e quel giorno a scuola non l'aveva vista, credeva fosse malata.
Lui alzò la testa a guardarla perplesso e lei gli spiegò, evitando accuratamente il suo sguardo, che gli orfani vivevano tutti assieme in una casa-scuola gestita da suore lì vicino…
“Un orfanotrofio…” mormorò lui, cosciente di vecchi ricordi che si affacciavano alla sua mente…
“Più o meno…”
Per un istante aveva incrociato i suoi occhi e non era stato facile non perdersi nello sguardo bruciante di lui…
“Saranno preoccupati…” cercò di spiegargli…
“Ormai dorme qui…”
“Non puoi…” si interruppe… rimase a guardarlo mentre si alzava lentamente, per non svegliare la bambina e la prendeva in braccio con premura… lei lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva in camera.
Era piuttosto sporca e... al diavolo, meglio sedersi, perché era stremata e c'erano talmente tante cose di cui dovevano parlare! E pazienza se sporcava il suo prezioso divano!
Era accomodata sul divano quando lui era tornato dalla camera…
“Siediti…” gli fece segno accanto a sé.
Lui si era seduto, obbediente… forse era così che doveva fare, dargli ordini decisa… a cuccia Joe, amami Joe, dimmi che mi ami Joe...
Si riscosse… quando era stanca tendeva al delirio…
“Scappa per venire da te e non possono tenerla in punizione in eterno…” gli spiegò brevemente “…e neppure riescono a  seguirla bene, non c'è abbastanza personale... ma tu non puoi comportarti come se potessi fare quello che vuoi…”
“Cosa intendi?”
Ovviamente lui non capiva, che diavolo, se lui fosse stato uno che capiva come ci si doveva comportare non ci sarebbe stato problema fin dall'inizio tra loro...
“Non ti permetteranno di tenerla... e non dovresti farla dormire qui…” gli disse apparentemente intenta a studiare la televisione spenta davanti a sé… meglio evitare il suo sguardo…
“Non la chiuderò fuori dalla porta se è quello che vuoi dirmi, neppure se me lo ordinano…”
Sospirò… Joe era fatto così…
“E se venisse qui ogni sera, per sempre?...” cercò di farlo ragionare “…la faresti restare sempre?”
“Sì…”
E questo non lo capiva, onestamente non riusciva proprio a capirlo... non aveva senso... ma forse era solo il fatto che non voleva lei, forse era solo gelosa di quella bambina che era riuscita a fare breccia nel suo cuore mentre lei... lei...
Aveva sollevato la testa ed aveva incrociato il suo sguardo colma di tristezza… e poi erano restati a guardarsi incantati, perché lui aveva ancora questo potere… e forse lo avrebbe avuto sempre.
Era rimasta paralizzata a guardarlo anche quando lui si era chinato ed aveva appoggiato le labbra sulle sue, solo un momento…
“No Joe…” sussurrò, tutta la stanchezza che le calava addosso, e chiuse gli occhi per non perdersi nei suoi... era stanca di tutto, di tutto…
“Non... mi ami più?”
Aprì gli occhi stupita… per un momento quella frase era suonata come la supplica di un bambino, e come un bambino ora la guardava senza più barriere e nei suoi occhi scuri, occhi che lei amava così tanto, poteva finalmente leggere tutte le emozioni che lui era così bravo a nascondere: paura, incertezza, rimpianto… solitudine... e dolore, quel dolore che faceva parte di lui... e poi qualcos' altro che la lasciava senza fiato, qualcosa che assomigliava alla luce che aveva lei negli occhi quando guardava lui, solo quando guardava lui…
“Non è questo…” gli aveva risposto con la voce che tremava un poco “…ma... anch'io ho bisogno d’amore...”
Prima che lei potesse reagire, che potesse aggiungere qualcosa, Joe aveva appoggiato il capo sul suo grembo…
“Non... voglio che tu mi eviti…” mormorò lui “…non voglio che tu stia con quello... non voglio perderti...”
“Joe…” gli sussurrò solo mentre con le mani gli accarezzava i capelli, ed il viso, perché era il suo Joe, e lei era Françoise, e lo amava…
“...dimmi cosa devo fare Françoise, perché io non lo so... non lo so…”
Ed in quel momento le mani le tremavano dal desiderio di confortarlo, di sussurrargli parole d'amore, di dirgli che sarebbe andato tutto bene…
“Voglio sapere che non chiuderai quella porta... che ci sarai sempre anche per me…” gli spiegò dolcemente, teneramente “…voglio sapere che sono importante…”
“Non lo sai?... non ci sei che tu Françoise, ci sei sempre stata solo tu... sempre, per sempre...”
Allora lei aveva capito.
Lui aveva paura.
Ma non significava che non voleva, non significava che non aveva bisogno, o che non amava… lui amava, anche se non sapeva più come si faceva…
Avrebbe dovuto farlo lei, avrebbe dovuto venire ogni sera, proprio come aveva fatto quella bambina, e imporre la sua presenza, imporre il suo amore… per sempre.
Si accorse sorpresa che, se era così, l'idea non l'atterriva… poteva farlo sì… poteva farlo, era abbastanza forte per tutti e due…

 

Parte 4

Françoise guardò la stanza vuota davanti a sé.
Dalla finestra si scorgevano due grandi alberi in fiore e lei attraversò la stanza per guardarli meglio.
Erano bellissimi e come sempre la rimandavano alla primavera finalmente sbocciata, alle giornate fatte per essere vissute con gioia, alla vita che riprendeva, alla voglia di vivere, all'allegria.
La primavera era la sua stagione, la stagione che più amava.
Era già passato un anno, pensò perlustrando con lo sguardo il giardino che si allargava sotto di lei… non aveva mai avuto un giardino suo ma lo aveva sempre desiderato, e mentalmente pregustava i cambiamenti che avrebbe dovuto apportare, i fiori che non vedeva l'ora di piantare, gli angoli che voleva sistemare.
I suoi anni evidentemente iniziavano in primavera, si contavano da lì.
Ogni primavera la sua vita cambiava.
Ritornò alla porta della camera e si guardò intorno senza vedere nessuno…
“Emma!” chiamò.
La piccola era seduta sulle scale e si affrettò a raggiungerla facendo i gradini di corsa, e senza rallentare frenò di colpo davanti a lei, scivolando un po’ sul pavimento di legno…
“Qui dormirai tu…” le spiegò lei indicandole la stanza…
“Ma... è vuota!”
“Certo che è vuota, sciocchina... dobbiamo ancora metterci i mobili!”
“Ma la cucina c'è!”
“E' vero, e la tua camera ci sarà… e sarà bellissima!”
“Con il letto a baldacchino?” cominciò a saltellare la bambina, improvvisamente entusiasta.
Avevano visto un leziosissimo letto a baldacchino pochi giorni prima in un negozio, ed Emma ne era rimasta profondamente colpita…
“Assolutamente sì!” esclamò lei, contagiata dal suo entusiasmo… almeno si sperava che in quel modo non piombasse più nel lettone in piena notte.
La bambina era entrata sempre saltellando dentro la stanza, piena di allegria… e pensare che all'inizio, quando l'aveva vista a scuola la prima volta, aveva pensato che non l'avrebbe mai vista sorridere!
Quante risorse aveva quella bambina… e che lezione era ogni volta per tutti loro!
“Guarda! È il giardino! È nostro!...” gridò la piccola piantando il naso sul vetro della finestra “…ci mettiamo i fiori? Eh?”
In quel momento avevano udito dei passi che si avvicinavano ed Emma era corsa in corridoio senza più badare ad altro.
Era Joe e Françoise restò sulla soglia della stanza a guardare mentre lui saliva le scale… arrivato a metà si era fermato e la bambina, dal pianerottolo, si era lanciata nel vuoto verso di lui… con la fiducia cieca che aveva sempre per lui… una fiducia cui Françoise assisteva ogni volta con meraviglia.
Come poteva essere così fiduciosa dopo tutto quello che aveva passato?
Lui l'aveva afferrata al volo senza sforzo e lei aveva appoggiato la guancia contro la spalla di lui, toccandogli contemporaneamente i capelli.
Françoise si ritrovò a sorridere senza neppure accorgersene e Joe la guardò a sua volta sorridendole di rimando… un sorriso vero che gli aveva illuminato il volto e le aveva riempito il cuore d'amore.
Erano una famiglia, la sua famiglia, e lei pensava che non c'era altro al mondo che desiderava.
Si sfiorò il ventre piatto cercando di percepire anche solo una minuscola traccia della nuova vita che stava crescendo dentro di lei.
Non riusciva ancora a sentirla, ma era riuscita a vederla con i suoi occhi… sapeva che c'era.
Joe la raggiunse con Emma in braccio e le cinse la vita con l'altro braccio.
Sorrise ancora.
No… non c'era niente che desiderava questa primavera.
Aveva tutto…

© 04/09/ 2013

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